Business Angel Summit 2025: dove cresce l’investitore, non solo il flusso di affari
Business Angel Summit 2025, al Quark Hotel di Milano ha sancito un cambio di passo: meno teoria, più pratica, imparando dai Top Angels.
Sommario
Business Angel Summit 2025, tutto italiano e dedicato all’ecosistema dei Business Angel
Sabato 8 novembre, al Primo summit dedicato al mondo dei Business Angel, con Antonella Grassigli e il Team di Startup Geeks, capitanato da Alessio Boceda, abbiamo assistito a sessioni dense, panel concreti e un networking guidato che ha messo in contatto le persone giuste al momento giusto, trasformando una giornata in un ponte operativo verso il prossimo deal.
BAS, un Summit che serve adesso
Nel 2025 il mercato italiano del venture capital vive una fase di transizione: i volumi sono ancora inferiori a Francia, Spagna e Regno Unito, ma la crescita relativa è tra le più alte in Europa e nei round domestici si vedono sempre più operatori internazionali.
In questo scenario, la figura del business angel diventa l’anello decisivo tra idee e capitali: porta esperienza operativa, rete e disciplina di portafoglio in fasi in cui la finanza tradizionale fatica a muoversi.
Ecco perché un Summit dedicato proprio adesso: per dotare investitori privati di strumenti concreti (processi, clausole, criteri, toolkit) e costruire una cultura comune che riduca le asimmetrie informative, acceleri i tempi di decisione e favorisca captable sane, necessarie ai round successivi.
Il Business Angel Summit 2025 si è rivelato un crocevia essenziale per chi naviga l’ecosistema dell’innovazione, non limitandosi a discutere di capitali e rendimenti, ma elevando la conversazione al DNA umano e strategico che rende un’idea scalabile e di successo. Per un ecosistema come AltroStile, che promuove la crescita olistica e la salute consapevole, l’evento ha offerto una potente conferma: il vero investimento futuro è nell’armonia tra visione, tecnologia e l’impegno incondizionato delle persone.
Perché contava esserci
Il filo conduttore è stato chiaro: l’angel investing incide su crescita, occupazione e PIL e Grassigli ha scandito i passaggi chiave dalla valutazione all’exit, traducendo la complessità in checklist e griglie d’analisi utilizzabili da subito.
Il format ha alternato formazione, casi e simulazioni, e un matching mirato (3–5 contatti affini per ciascun partecipante) con un toolkit post-evento per non disperdere slancio e metodo.
La Follia Necessaria: Scommettere sul DNA del Founder
Il primo e più fondamentale insegnamento del Summit riguarda il fattore umano. Nelle prime fasi di investimento (pre-seed e seed), l’Angel Investor mette i propri soldi sulla persona, non solo sul business model.
Veronica Mariani, Angel Investor e imprenditrice seriale, ha ribadito con forza l’importanza di “usare di più la pancia”. Non si tratta di improvvisazione, ma di quel feeling che riconosce l’“occhio da tigre” del founder, quella “dedizione totale” che sconfina nella “pazzia” della passione.
Mariani ha citato una sua recente esperienza nel non aver seguito questo istinto a causa di condizionamenti esterni, sottolineando che l’intuizione, unita alla consapevolezza del rischio (il capitale di un Angel è personale, e c’è la possibilità di perderlo tutto), è una bussola da rispettare.
Enrico Pandian ha fornito un filtro di selezione altrettanto intransigente e suggestivo: “l’idea in sé non ha nessun valore”. Ciò che conta è l’esecuzione, la capacità di un team di trasformare la visione in “passetti” concreti. Pandian ha messo in guardia su uno dei segnali di allarme più comuni: il founder che inizia parlando solo di quanto vuole guadagnare è una red flag. L’investitore cerca invece l’umiltà strategica (coachability) e la voglia di rivalsa, spesso riscontrata in chi ha già fallito e ha imparato a fare un trial and error velocissimo.
Ha proseguito dicendo: “Mi piace sempre dire che non sono un co-founder, ma un supporto. Mi sono anche reso conto, nel corso del tempo, che a volte do quel supporto quasi non pensando che sono un investitore. Però, diciamo, questo è l’approccio: aiutare.”
Ecosistema e policy: realtà, margini e priorità
Nel confronto con Giorgio Ciron (InnovUp) e Francesco Cerruti (Italian Tech Alliance) è emersa una fotografia onesta: l’Italia raccoglie meno di Francia, Spagna e Regno Unito, ma cresce più in fretta e attrae un numero crescente di operatori esteri nei round domestici.
Le tre leve decisive: più capitale istituzionale (casse e assicurazioni), più corporate venture, regole chiare e applicate con coerenza (niente promesse senza implementazione).
La lettura è pragmatica: non siamo ancora in “Champions” per volumi, ma il margine di crescita è tra i più alti in Europa e l’interesse internazionale sta diventando attività concreta nei deal.
La Governance del Rischio: Pulizia della Captable e la Tirannia della Cassa
Se l’intuizione guida il primo assegno, è la disciplina finanziaria e legale a proteggerlo nel tempo. Su questo fronte, gli esperti del Summit hanno fornito dettagli tecnici essenziali per non trasformare il rischio d’impresa in disordine gestionale.
Manuel Urzì ha aperto la sessione con un dato che è un monito per ogni founder: la mancanza di liquidità (ovvero il cash burn non gestito da un’adeguata runway) è la principale causa di fallimento delle startup. La sfida, come ha spiegato Urzì, è duplice: non solo trovare capitale, ma gestirlo con una strategia che distingua chiaramente l’iterazione dalla dispersione.
Secondo Urzì, è cruciale avere chiarezza sull’impatto di ogni singolo euro investito, assicurandosi che la distribuzione degli investimenti generi un obiettivo e un valore concreti. Il round di investimento non può essere un modo per nascondere un problema strutturale, ma deve essere un mezzo per la crescita strategica.
Cassetta degli attrezzi: portafogli, power law, network
Il venture è un investimento poco liquido e non legato ai mercati tradizionali: pochi casi generano la maggior parte dei rendimenti. Per questo si lavora con portafogli di 15–20 startup, una pipeline qualificata e processi di selezione rigorosi.
L’obiettivo non è trovare “la singola startup perfetta”, ma costruire un paniere equilibrato. Nella scelta contano quattro cose: domanda di mercato verificabile, team che esegue e delega, metriche reali (clienti, ricavi, retention, CAC/LTV) e uso prudente della cassa. Servono patti e captable semplici, e co‑investitori affidabili per evitare stalli. Se i segnali non migliorano in fretta, si dice no e si passa oltre.
Il resto è rumore
Andrea Bellini, di Alpha Venture, ha portato il punto di vista dell’angel “di mestiere”: processo prima delle storie, disciplina prima dell’entusiasmo. La sua ricetta è concreta: pipeline continua ma filtrata, 15–20 partecipazioni costruite nel tempo, e soprattutto “tempo come capitale”: tanti no rapidi per proteggere attenzione e risorse, pochi sì motivati quando domanda, team e canali vendita mostrano segnali reali. Il portafoglio si governa con cadenze regolari (deal review), soglie di evidenza (metriche minime) e co‑investitori che sanno sostenere i follow‑on; il resto è rumore.
Le lezioni dal palco: errori tipici, domande giuste
I relatori del Summit non si sono limitati a celebrare i successi, ma hanno anche messo in luce i principali errori che formano la “lista nera” che affligge molti portafogli di investimento. I segnali di allarme includono un cash burn (il tasso di consumo della cassa) troppo elevato e non sostenuto da un’adeguata runway (l’orizzonte di sopravvivenza), una domanda insufficiente o un product/market fit fragile che rivela un’incoerenza tra prodotto e mercato, e un pricing incoerente con il valore percepito.
A questo si aggiunge la mancata valutazione di concorrenza e timing e, soprattutto, un team che non sa delegare, creando il classico collo di bottiglia che impedisce la scalabilità.
Al contempo, per superare questi ostacoli e attrarre il capitale, i founder devono dimostrare di avere risposte impeccabili a domande fondamentali: la capacità di riassumere il problema e la soluzione in due righe chiare, l’evidenza dell’“occhio della tigre” del founder (la sua dedizione incondizionata), la solidità della squadra e la sua cultura della delega, un piano di go-to-market realistico, l’uso parsimonioso della cassa e, infine, l’alta qualità dei co-investitori già coinvolti, unitamente a un’ambizione internazionale che sia concretamente credibile.
Norme che incidono davvero
Nel segmento policy è emersa una novità sostanziale: investire in startup può essere più conveniente che ristrutturare casa (detrazione de minimis al 65%, incentivi startup fuori dal tetto complessivo degli 8.000 euro tipico di altre detrazioni), mentre la detrazione 30% necessita di rinnovo e potrebbe attraversare un breve “buco” temporale.
La misura potenzialmente di svolta: stimoli a fondi pensione e casse per investire in VC, travasando risparmio privato verso l’economia reale; qui, la sfida è l’implementazione tecnica più che il principio.
Clausole, captable e negoziazione: il punto di Corrado Blandini
Con l’avvocato e angel Corrado Blandini il diritto è sceso sul campo: la full ratchet è rara e spesso controproducente; la weighted average protegge chi investe senza disallineare i founder nei down round. Tag e drag servono, ma vanno calibrate su soglie, capienza dell’acquirente e riduzioni pro-quota per evitare stalli.
Captable sana significa pochi founder chiari nella guida, niente frammentazione e vesting reale per evitare zavorre quando qualcuno lascia.
Una nota di metodo: il potere negoziale dell’angel dipende da size, timing e appetibilità del deal, non da principi astratti; la stessa clausola cambia impatto a seconda del contesto.
L’analisi di Davide Ruggeri si è concentrata sul ruolo cruciale delle clausole di protezione (come Drag Along e Tag Along) che sono irrinunciabili per l’Angel Investor. Ruggeri ha spiegato che queste clausole, sebbene possano sembrare complesse, sono il baluardo legale che garantisce la governabilità in caso di Exit e l’allineamento di tutti i soci verso l’obiettivo comune, proteggendo gli investitori da minoranze bloccanti.
Ruggeri, nel suo intervento tecnico, ha focalizzato l’attenzione sulle clausole di protezione irrinunciabili nel Term Sheet (il contratto che definisce le regole). Ha illustrato l’importanza di strumenti come l’Anti-Dilution (che protegge l’investitore in caso di down round) e le clausole di Exit come la Liquidation Preference, che stabilisce l’ordine di rimborso, garantendo la priorità agli investitori in caso di vendita o liquidazione della società.
Exit reali, non miti
In Italia l’uscita più frequente è l’M&A: si chiude prima dell’IPO e con meno incertezze. Il secondario offre liquidità intermedia (di solito a sconto), mentre l’earn‑out aiuta a chiudere l’acquisizione, ma rinvia una parte del prezzo legandola a obiettivi futuri, soprattutto per i founder. Per gli angel spesso significa incassare prima e dipendere meno dal post‑integrazione. La regola d’oro è pensare all’uscita già quando si entra: quali vie sono realistiche, con quali tempi e condizioni? Questa pianificazione distingue l’approccio professionale dall’hobby.
Il nostro punto di vista (Altrostile | benessere.community)
Per chi costruisce comunità e impatto umano, l’angel efficace è più di un assegno: è coach, connettore e garante di governance. L’Italia ha traiettorie naturali in deep tech, life sciences e aerospace con AI trasversale; qui si vince con angeli pazienti e competenti, captable pulite e canali vendita veri. Tutto il resto è rumore.
La Formula Infallibile? Il Business Angel Summit 2025 ha smontato la narrazione del successo facile e ha celebrato l’antifragilità. Non si tratta di evitare la perdita o il fallimento (come ha ricordato Pandian, chi fallisce e si rialza è spesso l’investimento migliore ), ma di costruire un’impresa che diventa più forte sotto stress.
Takeaway dei relatori del Business Angel Summit 2025
Clausole e captable, senza rigidità inutili
Anti‑diluizione: perché “weighted average” è preferibile alla “full ratchet”
Weighted average: ricalcola il prezzo di conversione tenendo conto sia dello sconto del nuovo round sia della quantità di nuove azioni emesse. Protegge l’investitore, ma in modo proporzionato; mantiene motivati i founder e rende più “finanziabile” l’azienda nei round dopo.
Se un round futuro avviene a una valutazione più bassa (down round), la clausola anti‑diluizione serve a non far perdere troppo valore agli investitori entrati prima.
Full ratchet: resetta il prezzo di conversione dell’investitore precedente al prezzo più basso del nuovo round, a prescindere da quante nuove azioni vengano emesse. Protegge molto l’investitore “vecchio”, ma scarica un’enorme diluizione su founder, team e nuovi investitori; spesso rende difficili i round successivi perché la cap table si sbilancia.
Uscite: M&A prima dell’IPO, con secondari ed earn‑out gestiti bene
In Italia l’exit più probabile è l’acquisizione (M&A), più rapida e praticabile dell’IPO. Il mercato secondario può dare liquidità intermedia (spesso a sconto), mentre l’earn‑out aiuta a chiudere le acquisizioni ma sposta parte del prezzo nel tempo: vanno definiti KPI chiari per evitare incertezze dopo il closing.
Portafoglio e processo contano più del “colpo singolo”
Il venture è illiquido e non corre dietro ai mercati: pochi investimenti faranno gran parte dei rendimenti. Per questo servono portafogli da 15–20 partecipazioni, una pipeline qualificata e tanti “no” rapidi. I “sì” arrivano solo quando domanda, team e canali vendita mostrano segnali reali.
Criteri essenziali per dire “sì”
Domanda di mercato verificabile (ora, non solo domani), team che esegue e sa delegare, metriche solide (clienti, ricavi, retention, rapporto CAC/LTV), gestione prudente della cassa. Co‑investitori affidabili e ambizione internazionale credibile fanno la differenza nei round successivi.
Norme e incentivi che fanno numeri
Oggi investire in startup può essere più conveniente che ristrutturare casa (detrazione de minimis 65%, incentivi fuori dal tetto complessivo degli 8.000 euro). Attenzione alla detrazione 30% in fase di rinnovo. Spingere fondi pensione e casse verso il VC può sbloccare capitali importanti, ma serve un’implementazione tecnica senza intoppi.
Lezioni dai casi
Execution batte narrazione.
Articolo a cura di:
Patrizia Landini
Giornalista di Salute e Benessere
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